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Il contenuto di una bottiglia abbandonata - Foto Andrea Pane

Quando la raccolta dei rifiuti diventa anche ricerca scientifica

Ente Parchi Alpi Cozie Orsiera Rocciavré

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I compiti dei guardiaparco, si sa, sono vari. Vigilanza, ricerca, educazione ambientale.

Sempre più spesso, con cadenza periodica, i guardiaparco dei Parchi Alpi Cozie (non solo nelle aree più antropizzate ma anche nei boschi e nei pascoli di alta montagna) si trovano a svolgere interventi di raccolta rifiuti. L'attività ha più risvolti: pulizia, dissuasione e educazione ambientale nei confronti di chi trovando un ambiente pulito dovrebbe essere stimolato a lasciarlo tale, ricerca scientifica.

È risaputo che molti rifiuti abbandonati diventano per la microfauna delle trappole mortali. Bottiglie di vetro, lattine, contenitori in plastica attirano, con i residui zuccherini che contengono, micromammiferi, rettili e insetti che non riescono poi più ad uscirne o muoiono affogati.

Ce ne parla il guardiaparco Andrea Pane, di servizio nel Parco Orsiera Rocciavrè settore Val Chisone, che da tempo, con il collega Davide Giuliano, si occupa di analizzare il contenuto dei rifiuti raccolti e determinare le specie animali che vi hanno trovato la morte, in alcuni casi specie degne di nota, spesso animali che non è consueto incontrare fatti salvi monitiroggi specifici.
 

L’abbandono di rifiuti è privo di giustificazioni. Oramai esistono bidoni, cassoni, cassonetti, ecoisole dove conferire i rifiuti che produciamo, a seconda della tipologia (umido, secco, plastica, vetro, carta) o delle dimensioni.

Mi si dirà che alcuni aspetti sono migliorabili, o che per migliorare una parte del servizio se ne peggiora un’altra. Se ne può parlare (senza generalizzare!) e vedere come fare in futuro.

Senz’altro lasciare o buttare un rifiuto di qualunque genere “in giro” non trova scusanti.

I motivi sono evidenti.

- Alcuni rifiuti sono nocivi per l’ambiente (troviamo sul territorio batterie di autoveicoli, secchi di vernice); altri apparentemente sembrano inerti, ma col tempo si disgregano in parti sempre più piccole: tutte le materie plastiche, che, si è visto negli ultimi anni, una volta ridotte in particelle minuscole vengano assimilate dagli animali (ad esempio i pesci ) che rientrano nella dieta consueta di molte persone. Nessuno avrebbe voglia di mangiarsi un sacchetto di plastica; ma è ciò che capiterebbe alimentandosi per anni con cibo contaminato da questi materiali.

- Pensiamo ad un secondo aspetto: produrre imballaggi o altri oggetti partendo dalle materie prime ha un costo. Partire da materiali di seconda mano ridurrebbe una parte di questi costi, e ridurrebbe senz’altro la ricerca delle materie prime. Riflettiamo sul fatto che, così come si parla da tempo della riduzione dei combustibili fossili (da cui tra l’altro si ottengono le materie plastiche usate per un’enorme quantità di oggetti nonché di imballaggi), si potrebbe cominciare a riflettere che anche i metalli si estraggono in determinati punti della crosta terrestre, e che prima o poi i vari giacimenti andranno ad esaurirsi (in certe aree del pianeta si sono già esauriti da tempo, o la loro estrazione è divenuta antieconomica o vi si trovano solo più minerali di bassa qualità).

Dunque rimettere nel processo produttivo, al posto delle materie prime iniziali, gli imballaggi di plastica, metallo, carta, vetro, consente di proseguire nella produzione di materiali riducendo la dipendenza dalle materie prime. E magari in futuro si potrebbe allargare il numero e tipo di materiali da riciclare.

- Esistono rifiuti che prima o poi possono essere “smaltiti” da microorganismi o altro, ma ciò avviene in tempi piuttosto lunghi. Un esempio sono le bucce delle arance, che restano sul terreno per mesi. E che per mesi daranno l’impressione di trovarsi in un posto semplicemente più sporco di altri.

E, per finire, per quanto riguarda turisti ed escursionisti, vale un vecchio discorso che a quanto pare non si è diffuso abbastanza: se nello zaino esiste lo spazio libero per portare bottiglie, scatolette, pacchetti, una volta che questi sono stati alleggeriti del loro contenuto, e magari ridotti nelle dimensioni (una bottiglia di vetro no, ma un pacchetto di carta, una scatoletta di metallo si possono schiacciare), qual’è la giustificazione per cui vengono abbandonati sul posto e non trovano più spazio nello zaino? Nessuna. Come si diceva all’inizio, non ci sono scusanti!

Nei primi anni ‘90 leggevo su un quadernetto del Parco nazionale del Gran Paradiso, che piccoli mammiferi come arvicole e toporagni, stante la ridotta dimensione del corpo, possono finire nelle bottiglie o nelle lattine, attirati dal contenuto residuo delle stesse, e non riuscire più a venirne fuori. In sostanza muoiono dentro il contenitore.

Dopo quella lettura, la prima volta che ho trovato la classica lattina di alluminio lungo un sentiero l’ho scossa un istante, sentendo un suono simile a un sassolino al suo interno, ho provato a versare il contenuto su un sasso e in effetti è uscito il cranio di un toporagno.

Da quel momento ho notato come sia abbastanza normale trovare ossa e pelo di piccoli mammiferi nelle bottiglie, alle volte immersi nel liquido quando non è ancora evaporato oppure nell’acqua piovana che entra nella bottiglia (tipicamente si trovano disposte su un pendio col fondo in basso, pronte ad accogliere tanto la pioggia che animaletti che poi non riescono appunto a risalire…).

Nella fotografia compare quanto trovato in una bottiglia di birra da 66 cl, raccolta in un bosco a fine anni ‘90. Marco Giovo, tecnico faunistico che al tempo ha analizzato i resti ha stabilito che si trattava delle ossa di 31 toporagni e 2 arvicole.

Come si vedrà, misurando a stima con la carta millimetrata sottostante, il cranio dei toporagni è largo circa un centimetro, quello delle arvicole circa un centimetro e mezzo, quindi è comprensibile che possano entrare tanto nelle bottiglie di vetro che nelle lattine di alluminio.

Oltre ai micromammiferi si trovano spesso in questi contenitori scarabei, carabi e così via, ovvero una parte di quella entomofauna che probabilmente si sente attirata tanto dai residui dei liquidi contenuti che dai resti in decomposizione dei micromammiferi.

È chiaro che rispetto ai vari problemi che assillano il mondo, questi 33 micromammiferi ed altrettanti insetti in una sola bottiglia rappresentano il problema minore, anzi un problema veramente microscopico. Ma è necessario partire dai problemi più piccoli per provare a risolvere quelli maggiori.

I rifiuti che via via si accumulano in natura hanno tempi di degradazione lunghissimi e finiscono per diventare parte dell'ambiente ed intervenire negativamente nella vita degli animali che vi restano intrappolati, li utilizzano ad esempio per costruire nidi o ripari e involontariamente se ne cibano. Ogni anno, anche tra le nostre montagne, vengono abbandonati quintali di rifiuti, buona parte dei quali entrano tristemente a far parte della vita di animali e piante, il più delle volte uccidendoli. Spetta a noi, con piccoli gesti quotidiani preservare gli ecosistemi e il pianeta in cui viviamo.

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