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Photo credit Riccardo Alba

Studi sull’avifauna dei Parchi Alpi Cozie confluiscono in una tesi di dottorato

Ente Parchi Alpi Cozie Val Troncea

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Lo scorso 26 gennaio, presso l'aula magna del Dipartimento di Scienze della Vita e Biologia dei Sistemi dell’Università di Torino è stata discussa la tesi di dottorato Interactions between Alpine biodiversity, snow and climate change elaborata da Riccardo Alba sotto la supervisione del prof. Dan Chamberlain. Si tratta della terza ricerca effettuata all’interno dei territori dei Parchi delle Alpi Cozie e realizzata in seguito agli accordi di collaborazione siglati dall’Ente Parco e il dipartimento DBIOS dell’ateneo torinese. Nello specifico, gli studi del dott. Alba si sono svolti tra il 2021 e il 2023 con l’obiettivo di raccogliere una grande mole di dati ornitologici per analizzare l’impatto dei cambiamenti climatici e di uso del suolo sull’avifauna nelle Alpi.

«La tesi vera e propria – esordisce Alba – è una raccolta di 5 articoli pubblicati, o in via di pubblicazione, su prestigiose riviste scientifiche a seguito di inedite ricerche effettuate nelle valli Chisone e Susa. L’obiettivo del lavoro era osservare come le modifiche dei territori alpini, a causa del riscaldamento climatico e dei cambiamenti nell’utilizzo del territorio da parte degli esseri umani, hanno un effetto su molte specie di uccelli, sia nidificanti, sia migratori».

 
Qual è il filo conduttore degli studi confluiti nella tesi?

«In generale – prosegue Alba – occorre dire che le Alpi sono ecosistemi incredibili per la biodiversità. Da un punto di vista ornitologico, in particolare, abbiamo osservato che gli ambienti di confine tra il bosco e la prateria alpina ospitano una varietà davvero straordinaria di uccelli. Nel corso della ricerca sui migratori, effettuata nel 2021/2022 con la collaborazione di Domenico Rosselli e del personale delle Aree Protette Alpi Cozie, in 10 transetti posti tra 1900 e 2500 metri di quota nelle valli laterali della Val Chisone e dell’alta Val di Susa, abbiamo rilevato ben 104 specie di uccelli terrestri, pari al 22% delle specie ornitiche terrestri italiane in una porzione di territorio davvero piccola. Purtroppo, gli habitat aperti sono anche gli ambienti più fragili, che vedono progressivamente ridurre la propria superficie a causa dell’espansione delle foreste, provocata dal riscaldamento climatico e dall’abbandono di attività tradizionali come la monticazione estiva del bestiame. Se osservassimo questi areali dall’alto, potrebbero sembrare dei cerchi che con il passare del tempo diventano sempre più piccoli».

 
Per quale motivo questi habitat sono così importanti?

«Fondamentalmente perché ospitano ecosistemi molto vari. La cosiddetta linea degli alberi, tra boschi e pascoli, è il frutto di una millenaria opera di interazione tra esseri umani e ambiente che ha generato una biodiversità molto favorevole per l’avifauna. Sia alle alte quote nella fascia dove la vegetazione legnosa cede il passo agli arbusti e poi alla prateria, sia più in basso dove tradizionalmente si ricavavano zone di pascolo tra i boschi. Curiosamente, per gli uccelli migratori le Alpi sono un ostacolo da un lato e una risorsa dall’altro; li costringono a faticosi sorvoli ad altitudini elevate, ma forniscono al contempo una grande varietà di risorse alimentari sottoforma di insetti che tra la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno sono più abbondanti in montagna, rispetto alla pianura. Un’area di sosta, in pratica, dove hanno la possibilità di rifornirsi prima di riprendere il viaggio. Ma lo stesso discorso vale per molte specie di uccelli nidificanti, anche rari e in declino, che l’agricoltura intensiva nelle campagne ha sfrattato verso le terre alte dove si trovano ambienti più preservati».

 
Una parte delle ricerche si è anche focalizzata sullo studio dei terreni valanghivi come habitat favorevoli all’avifauna. Qual è la relazione di questo aspetto con il resto della tesi?

«Sempre grazie alla collaborazione del personale dei Parchi Alpi Cozie, nell’estate del 2021 abbiamo analizzato, tramite transetti verticali e orizzontali, 240 punti in zone frequentemente battute dalle valanghe rilevando comunità di uccelli più varie e numerose che in ambienti non disturbati. L’ipotesi è che questi spazi aperti, generati da fenomeni naturali, offrono maggiore varietà vegetale e quindi condizioni più favorevoli per gli uccelli. Siamo nuovamente di fronte a una situazione che i cambiamenti climatici e la riduzione delle precipitazioni nevose tenderà a modificare ».

 

Le aree protette hanno un ruolo in questi processi?

«Ritengo di sì, perché promuovono la ricerca e adottano strategie di conservazione in grado di tutelare gli ambienti. Le Aree protette delle Alpi Cozie, per esempio, hanno sviluppato negli anni un patrimonio importante di studi ornitologici. Inoltre proteggono territori di pregio per l’avifauna, con habitat favorevoli per specie anche rare come l’ortolano e la passera lagia. Senza dimenticare un curioso migratore come il piviere tortolino che in Piemonte sosta in pochissimi siti, tra cui la zona dell’Assietta nel Parco naturale del Gran Bosco di Salbertrand».

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